Scritto da Maria Luisa
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lunedì 14 maggio 2007 |
Me lo aspettavo. Molto rumore per nulla.
L'avevo detto, quando è scoppiato l'incendio, alimentato dalle ditte di filati, dai media, che ripetevano pedissequamente la solita litanìa, la potete sentire nel video del Tg1, che trovate in Home, leggere in MagliaStampata .
I Knit-Café, gli eventi, le triennali, le accademie coi loro progetti, il boom delle nuove knitters, le saturday knit fevers, le pubblicazioni sui corsi di maglia, peraltro sparite dalla circolazione, dopo le prime uscite.
Il tutto per cercare di rattoppare buchi e rilanciare un settore vistosamente in crisi, da anni.
Per far sembrare oro ciò che luccica, ma che oro non era.
Non per le mercerie.
E, dopo tante belle parole, la voce di una persona del settore, più che
accreditata, per giunta, ma qui dico il peccato e non il peccatore, "i negozi di filati stanno chiudendo, uno dopo l'altro", inesorabilmente, sotto
il peso di affitti e di studi di settore incongruenti per il basso
guadagno, di filati più cari, e sempre meno di qualità, nonostante il
prezzo più alto.
Mi è stato detto che contano su di me, che io resista, almeno io, ma sono abituata, il mio spazio è nato quando il lavoro a maglia non se lo filava nessuno.
E, lo confesso, non mi dispiace l'idea di essere una delle poche a credere ancora nelle potenzialità nascoste del settore.
Mi è stato consigliato di continuare sulla via intrapresa anni fa, coi
miei corsi senza sponsorizzazioni specifiche, di non aspettare voli
pindarici di centri tricot.
Ma non mi aspettavo e non mi aspetto niente da nessuno, tranne che dalle mie collaboratici, dalle mie clienti ed utenti.
Una domanda, dallo scoppio della moda, tutte le nuove adepte sparse
per l' Italia e raggruppate nei vari gruppi o nei blog, dove sono
andate a rifornirsi di materia prima?
Finora hanno riciclato filati trovati tra la naftalina nel baule della nonna?
O hanno acquistato all'estero (bella lì!) lana italiana?
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