Novembre si sta avvicinando, è il mese che preferisco.
Novembre è il tempo delle rimembranze. Si ricordano i nostri defunti, le nostre origini, da dove siamo venuti e dove andremo -sì, ma dove andremo?-.
Novembre è anche il tempo della zucca. Grande o piccola che sia.
Proprio in questo momento sul mio fornello ne sta lessando una, arancio vivo, per farne un risotto, "il" risotto per eccellenza, che non verrà mai come quello di mia zia Maria, che faceva il risotto di zucca più buono al mondo.
Il punto dolens è pelare la zucca (peggio della gatta). All'Esselunga la vendono già pelata e a pezzetti, ma che gusto c'è? Bisogna solo stare attente a non farsi del male...
La zucca è l'ortaggio che più mi riporta al mio passato...
Rivedo me bambina nella casa di cortile in pieno centro a Carate, dove sono nata e vissuta fino a
cinque anni, sopra l'ufficio di mio padre. Mi sembra
di rivedere il mio papà che fa capolino, tra un progetto e l'altro, a
guardare su ed io a guardare giù dalla ringhiera, finchè la zucca (mia) un giorno si infila tra le sbarre.
Panico generale. Lo zio Ernesto (che aveva una soluzione per tutto) ripete, rassicurante,
"com'è entrata, così uscirà". Infatti, tira di qua alza di là, la zucca è
uscita. Intatta? Boh, mica tanto...
So che quel giorno, per colpa mia, lo zio perse il posto all'osteria...
E mi sembra di sentire l'odore della zucca (no, non è un'allucinazione olfattiva, è quello della mia che sta cuocendo!) che si preparava lessata, per passarla
nel soffritto per poi unirla al riso. E si doveva stare a mescolare per
venti minuti (il tempo canonico occorrente per cuocere il riso) perchè
questo tipo di risotto si attaccava facilmente alle vecchie pentole
smaltate (ma la crosticina che si formava era la mia passione e speravo
nella disattenzione di mia zia).
La rivedo, la zia, col grembiule, col mestolo in mano da una parte e la
mano appoggiata sul fianco dall'altra. Stessa posa di tutte le donne
del cortile alle undici e mezza. Le porte delle cucine aperte, anche se
faceva freddo, per scambiare qualche pettegolezzo mentre il risotto
cuoceva e si stava rimestando.
Il risotto doveva essere pronto per le dodici in punto, quando la sirena della fabbrica Formenti annunciava la pausa per il
pranzo degli operai. Carate a quell'ora era un brulichio di lambrette e
biciclette, mentre la sigla del "Gazzettino Padano" risuonava da ogni radio.
Ecco che ritornavano gli uomini, che di solito mangiavano silenziosi e
velocemente, per andare poi una mezzoretta all'osteria, prima di
riprendere il lavoro negli altiforni.
Solo la mia famiglia era atipica o almeno così, in quella piccola realtà
quotidiana di cortile e di paese, appariva ai miei occhi. Noi si
mangiava alla una, una e mezza, quando io avevo già "rubato" un pò di
"puccino" (pane inzuppato nel sugo dello spezzatino) alla zia Antonietta
(si chiamavano tutte zie le donne del cortile) e avevo mangiato già
"il" risotto della zia Maria e quando gli operai erano già tornati al
lavoro.
Poi arrivarono gli anni sessanta, la nuova casa in campagna, quella dove vivo
ancora, lontana dalla realtà del cortile, lontana dalle lambrette, dalle
biciclette e, soprattutto, dal risotto della zia Maria.
Allora, qui c'era solo la mia casa e quella di Linda, la mia amica di sempre.
Insieme sognavamo di andare in America a cantare e di ballare in un musical e ci allenavamo sulle scale di casa mia.
Un po' di America però mi arrivò direttamente in casa con la famiglia "Mattel" (Barbie, Ken, Midge, Skipper, Alan, ecc, ecc...), quasi a sanare e a dar pace a
quel sogno, che ci aveva fatto desiderare di crescere più velocemente possibile. Ballarono e recitarono loro per tanto tempo al nostro posto. Sulle scale.
Arrivarono poi dagli USA anche i fumetti dei Peanuts, che sostituirono il mio momento di relax preferito fino allora, Topolino.
Charlie Brown era il mio prediletto (ho sempre avuto una passione per le grandi zucche possibilmente pelate e mature, per farvi un esempio dei giorni nostri, sul genere di questa, estera, questa, di produzione nazionale, o questa, della quale ho avuto anche modo di (as)saggiarne la qualità) il grande sognatore, innamorato della ragazzina dai capelli biondi.
A Lucy (che mi stava pure antipatica, ma, a ben
vedere, a posteriori, mi assomiglia molto, col suo caratterino), invidiavo invece il baracchino da psicologa, 5 cent a seduta.
E così un altro grande sogno fece piazza pulita del primo. Interpretare i sogni (e le zucche) altrui. Fare la
psicanalista. (A chi interessa, ecco l'articolo che scrissi sul giornalino
della scuola in terza media. Profetico.).
Il grande sogno di Charlie Brown era, oltre di riuscire a svelare il suo amore alla ragazzina dai capelli biondi, quello di vedere apparire la "Grande Zucca" nel campo dove si nascondeva nella notte di Halloween.
In quel campo c'erano i desideri e le paure, che crescevano a dismisura come le foglie delle cucurbitacee, di tutti i bambini e gli adolescenti di
quel tempo.
Sogni, sogni sogni...Grandi o piccoli.
Sogni che si scontravano con la realtà dei grandi (che nei Peanuts non
si vedevano, ma li sentivi pressanti ed angoscianti, come, ad esempio, nella coperta da cui Linus non si staccava mai).
Sogni che si sono infranti o che, essendo solo sogni, di mattina
quando ti svegli, li ricordi a malapena (e li racconti al tuo analista).
Sogni che si sono realizzati. Appieno o a metà.
Sogni che riponi nel cassetto. Riposino in pace. Amen.
Dal giallo Grande Zucca (che non appariva mai!), la notte di Halloween poi si tinse di rosso, di nero, di streghe e di "dolcetto, scherzetto". Americanate.
Ma la mia Grande Zucca è quella del risotto, punto di partenza e di
arrivo, si spera senza attaccare alla pentola a pressione (lo faccio lì -scusami, zia- così non
mescolo e posso scrivere).
Alla Zucca ho voluto dedicare anche il Workshop del 6 novembre p.v.. Per tale occasione Emma aka emmafassio (http://emmafassioknitting.blogspot.com/) ha creato lo Zucca's Shawl.
Ma questo articolo, che è un po' un risotto, è dedicato anche a chi ha permesso di realizzare i miei sogni,
al mio papà, soprattutto ed alla zia Maria, che oltre a sfamarmi e a darmi preziosi consigli (come quello di non fare grandi sogni su grandi zucche pelate. troppo acerbe o troppo mature -e sposate-) ha nascosto per anni sotto il suo letto, insieme a tanti altri miei segreti,
la lana che compravo sconsideratamente a chili.
A tutte le persone che sono entrate a far parte della mia vita e che ora non ci sono più.
Un'ultima cosa... In America non ci sono mai andata e forse non riuscirò
neppure ad andarci. Ma un po' di questo sogno me lo sono portato (allora
come ora) direttamente a casa, o meglio in Knit-House (che è lo stesso).
Con le mie lane, come, per citare
le prime che mi vengono in mente, la Brown Sheep e la Spinnery .
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