Noi, Amazzoni del XXI secolo, non abbiamo più il cavallo e la faretra.
Camminiamo, a testa alta, tra la gente, che non sa, se noi non diciamo.
Perchè la nostra esistenza, segnata in modo indelebile dal terrore e dalla sofferenza, non viene percepita tale da chi non è passato da qui, in questa foresta inestricabile, dove ci si può perdere, ritrovare la luce che filtra dagli alberi, poi perdersi di nuovo.
E forse morire tra le spine.
Camminiamo a testa alta, tra la gente, e ciò che non perdiamo è la nostra innata forza di combattere, e teniamo duro, in nome di cosa, non sappiamo. E, nonostante tutto, cerchiamo di pensare al futuro, anche se il futuro per noi è solo un'ipotesi.
Siamo, infatti, consapevoli che potremmo trovare un'altra foresta da attraversare, più fitta, più buia -e siamo a piedi scalzi-, piena di roveti e di more -ehi, tu, Lemma, amazzone nera, compagna di colore e di dolore, sei ancora viva?-, abbiamo la consapevolezza che tremeremo ancora di paura, che resteremo sole, ad affrontare prove dure e difficili.
Camminiamo a testa alta, tra la gente, anche se, talvolta, siamo noi stesse a mettere in discussione la nostra femminilità.
Con il nostro marchio d'infamia stampato sul petto, le nostre cicatrici, le nostre mutilazioni, cerchiamo di affrontare insieme la battaglia.
Non siamo sole, siamo in tante, forse troppe - e chiediamoci il perchè, e gridiamolo forte, che vogliamo sapere il perchè-.
Qualcuna di noi soccomberà, ma fino ad allora cerchiamo di essere fiere di aver combattuto e di essere sopravvissute, nonostante tutto.
C'è un nastro rosa - come una nascita nuova - che ci lega. Un filo di disperazione, che, però, può dare un coraggio inaspettato.